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Domenica 21 febbraio ore 16

Ritiro quaresimale dell’Unità pastorale.

Chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo

“Con Gesù verso Gerusalemme”

Tenuto da Don Federico Badiali

Traccia del ritiro:


CON GESÙ VERSO GERUSALEMME

Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: "La gente, chi dice che io sia?". Ed essi gli risposero: "Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti". Ed egli domandava loro: "Ma voi, chi dite che io sia?". Pietro gli rispose: "Tu sei il Cristo". E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.

E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: "Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini".

Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. Infatti quale vantaggio c'è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi". Diceva loro: "In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza".

(Mc 8, 27 – 9, 1)

 SALMO 22

 Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.

Rinfranca l'anima mia,
mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.

 Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

 Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

 Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.

 

 Altri spunti:

Il discepolo e la gloria della croce: Mc 9, 2-10.

Il discepolo, libero rispetto al proprio gruppo: Mc 9, 38-40.

Il discepolo, libero di amare: Mc 10, 1-12.

Il discepolo, libero da se stesso: Mc 10, 13-16.

Il discepolo, libero rispetto alle cose: Mc 10, 17-31.

Il discepolo, libero di servire: Mc 10, 35-45.

Il discepolo, libero dalla tristezza: Mc 10, 46-52.
 

 

Meditazione:


Mc 8, 27-33: chi segue il discepolo?

La confessione di Pietro rappresenta una sintesi della catechesi della Chiesa primitiva sulla persona di Cristo. Fino ad ora erano stati la folla e i discepoli a domandarsi chi era Gesù. Ora è Gesù che rivolge a loro questa stessa domanda. Anche noi smettiamo di fare domande e cominciamo a dargli delle risposte. La gente vede in Gesù una persona carismatica (Giovanni); l’echeggiare della parola del Signore, dopo secoli di silenzio (Elia); un uomo capace di interpretare la volontà di Dio, di renderla manifesta con parole e gesti, di giudicare l’agire umano (profeta). Queste risposte hanno il difetto di collocare Gesù lontano, di renderlo meno scomodo. Ma lui è vicino. Le nostre risposte, impastate di categorie religiose, devono lasciare il posto a risposte che scaturiscono dall’esperienza che noi abbiamo avuto di lui. Diversamente diamo risposte insufficienti, come dimostra la seconda domanda che Gesù rivolge ai discepoli: “Ma voi…”. Gesù è il “ma” di Dio al mondo e alla sua logica. Anche la Chiesa deve edificarsi su questo “ma”. Pietro esprime un giudizio nuovo, che segna, insieme a Mc 15, 39, uno dei due apici di questo vangelo. Gesù è il Cristo, colui che porta a compimento le speranze di Israele, fondate sulle promesse di Dio. Israele si aspetta un compimento politico di tali speranze. Anche in questa risposta c’è il rischio di una manipolazione del mistero, anziché una sua accoglienza. C’è il rischio di costruire un idolo, anziché di incontrare Dio. Gesù vuole evitare ogni fraintendimento. Mc lo mette in luce mediante la teologia del segreto messianico. Prima di parlare bisogna ascoltare. Gesù accetta l’attributo di Cristo datogli da Pietro, ma subito dopo dichiara apertamente – non più mediante parabole e segni – che cosa significa che lui è il Cristo, per evitare ogni ambiguità mondana. Per Gesù essere il Cristo comporta necessariamente la sofferenza e la morte in croce. In questo egli porterà a compimento il disegno di Dio rivelato dai profeti (“doveva”). Gesù, infatti, si identifica col Servo del Signore, prima oltraggiato e sacrificato, poi glorificato, e col Figlio dell’uomo, solidale con gli uomini e rivestito di autorità nel giudizio finale. Pietro, con la sua reazione, dimostra che esiste uno scarto tra il piano di Dio e l’attesa dell’uomo. Il piano di Dio risulta inizialmente deludente. È un piano d’amore ad ogni costo, che vuole spezzare la catena della violenza. L’uomo cerca così di costruirsi il proprio Cristo su misura. Ma Dio non scende a compromessi, perché sa che il suo dono è più grande e vuole che sia mantenuto come tale. L’attesa dell’uomo – che è sempre un’attesa limitata – deve morire, perché viva la promessa di Dio. E così la grandezza di Dio spezza l’angustia del pensiero dell’uomo, perché la fedeltà di Dio sa andare oltre il fallimento umano. Questo è il contenuto del Cristo Crocifisso. Gesù intima a Pietro di non ostacolargli il passo, tentando di allontanarlo dalla via di Dio. Lasciamo che Gesù rivolga anche a noi questa intimazione, perché anche noi, come Pietro, ci mettiamo dietro a Gesù, per cambiare il nostro modo di ragionare e conformarlo ai pensieri di Dio. Ma questo passaggio è difficile, perché richiede la presa di coscienza della nostra pochezza. Eppure è necessario per essere discepoli, perché il discepolo deve seguire il maestro. D’ora in avanti Mc cercherà di portare il suo lettore ad una comprensione più profonda del Signore Gesù, nella sua identità di Figlio di Dio (Mc 1, 1), soprattutto attraverso l’esperienza della sua passione e morte e la promessa della sua risurrezione. Allora il titolo di Cristo non costituirà più alcun problema. La figura del Crocifisso determinerà, così, la figura del discepolo.

 

Mc 8, 34-9, 1: chi è il discepolo?

Dopo la parentesi del dialogo con i discepoli, Gesù si rivolge a tutti e li esorta a stare dalla sua parte, a seguire la via che egli per primo ha percorso, come unico modo per realizzare se stessi, fino al pieno riconoscimento finale dinanzi a Dio e alla comunità dei salvati. È necessaria, quindi, una scelta personale, coraggiosa e operativa. Occorre, prima di tutto, seguire lui, camminargli dietro (cf. Mc 8, 33). I discepoli hanno accolto questo invito con entusiasmo fin dall’inizio (cf. Mc 1, 16ss.), ma allora non sapevano quale sarebbe stato il loro cammino. Giorno dopo giorno, la via di Gesù è diventata sempre più chiara, stando con lui e ascoltando la sua parola, soprattutto la rivelazione della sua identità (cf. Mc 8, 31). E l’identità del maestro decide dell’identità del discepolo, un’identità segnata dalla croce, dalla sofferenza di chi lotta per il bene e si trova a scontrarsi ogni giorno col male, su un cammino rischioso, perché il futuro risulta sempre incerto. Portare la croce significa pagare i costi inevitabili di una vita spesa per la giustizia e l’amore. D’altra parte, non portare la croce significherebbe caricare gli altri delle croce prodotte dal nostro rifiuto. Ma il discepolo non porta la croce con rassegnazione o per autolesionismo. Egli sa che la sta portando dietro a Gesù. E questa consapevolezza fa la differenza, perché il discepolo sa che sulla strada che sta percorrendo non incontra solo le stesse difficoltà di Gesù, ma incontra anche Gesù stesso. Seguire la via di Gesù, in pratica, significa vincere la logica umana, superare le varie forme di volontà di potenza, rinunciare ai propri interessi, lottare contro il proprio egoismo, rischiare tutto – anche la vita – in nome del Vangelo, perché ci si è appassionati a Cristo e in lui si è incontrata la vera Vita. Chi, invece, si aggrappa alla vita, com’è comunemente intesa, chi si accontenta di possedere cose o persone, è destinato alla morte e travolge tutto con sé nella morte. Con Cristo l’uomo scopre che l’unico modo di essere è dare, non avere. L’uomo, infatti, non è ciò che ha, ma ciò che dà, perché solo dando riesce ad essere veramente se stesso. O la vita dell’uomo è disponibilità, accoglienza, apertura, o non è affatto. Chiudersi equivale una sorta di suicidio. E questo va tenuto presente soprattutto nei momenti difficili, quando si sarebbe tentati di fare i propri comodi. D’altra parte, il giudizio finale non è solo un evento futuro, ma viene deciso sulla base della posizione che assumiamo oggi dinanzi alla persona e al messaggio di Gesù. La nostra speranza futura si identica con la nostra fede in un evento passato, che si rende presente nella nostra prassi attuale. È necessario decidersi fin da ora, perché il Regno di Dio è già disponibile. Esso ha cominciato ad essere presente nella persona e nelle opere di Gesù e si afferma nella storia nella misura in cui viene accolta la proposta del Vangelo, fino al momento finale delle vicende umane, quando il Regno si attuerà compiutamente, nel riconoscimento, da parte di tutti, del valore di una vita spesa per donarsi nell’amore.

 

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